Software antisociali: come fare per bloccare Facebook, Twitter e gli altri social network



Secondo un rapporto del Nielsen Rating, dell’azienda specializzata nella misurazione dell’audience di tv, radio e giornali, su quattro minuti e mezzo trascorsi sul web gli utenti almeno uno lo trascorrono sui siti del social networking facendo praticamente niente. Un’abitudine che secondo molti analisti sta compromettendo la produttività dell’economia americana e la creatività dei suoi ricercatori, dei suoi studenti e dei suoi scrittori.

“Il semplice fatto di stare online limita la capacità di concentrazione di un individuo”, afferma Fred Stutzman, PhD in Information Science alla University of North Carolina at Chapell Hill e creatore oltre di Freedom (il vostro accesso all’internet viene bloccato completamente, per collegarvi al web dovrete anche in questo caso spegnere e riaccendere il computer) anche di Anti-Social . Forse il più efficace dei software anti Facebook e affini, Anti-Social arriva ad escludere fino a 150 siti del social networking con uno semplice colpo di tasto. Il software è stato infatti precaricato con gli indirizzi dei siti da bloccare. “Uno si sente come se potesse immergersi nella folla in ogni momento”, continua Stutzaman, “Usando Anti-social può riuscire a scrivere anche composizioni di 3000 parole in meno d’una giornata di lavoro”.

LeechBlock ,il blocca sanguisughe, è un software che permette di bloccare selettivamente i siti del social networking dai quali non si vuole essere disturbati. E questo non solo in entrata ma anche in uscita dal computer. Una volta installato il software e scelto, diciamo, di bloccare Facebook non lo si può accedere nemmeno se lo si vuole, a meno che ovviamente non si riavvia il computer.

Isolator invece copre semplicemente tutte le icone che hanno a che fare con il social networking. Così anche a volerlo prima di collegarsi a Twitter bisogna ricaricare l’applicazione.
Darkroom
e WriteRoom invece trasformano un PC e un Mac in una tavoletta per scrivere e basta. Nel caso di DarkRoom la pagina viene oscurata così da escludere tutte le distrazioni in arrivo dal desktop. In questa maniera l’autore si concentra esclusivamente sulla sua scrittura. Verde fosforescente su sfondo nero, questa salta dalla pagina agli occhi dello scrivente.

 


È una nuova tossicodipendenza. Gli scienziati la chiamano “Continuous Partial Attention”, il termine è stato inventato da Linda Stone, una ex dirigente della Microsoft e della Apple che studia le deficienze cognitive causate dall’uso intenso dei computer. “Freedom e Anti-social sono il primo passo sulla via dell’affrontare questa nuova tossicodipendenza”, afferma la Stone, “Ma la soluzione alla dipendenza dai social networking va cercata in scelte che mutano le nostre abitudini sul web”. La Stone di recente ha scoperto la e-mail apnea, molti webnauti trattengo letteralmente il fiato mentre leggono le loro poste elettroniche, e si accompagna alla dipendenza da social networking.

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Secondo una ricerca di AOL e Salary.com 7 (uno dei maggiori portali web degli USA la prima e la maggiore agenzia temp online statunitense la seconda), il lavoratore medio americano trascorre due ore e 10 minuti della sua giornata lavorativa chiacchierando sui siti del social networking con familiari, amici e colleghi. E queste ore non includono lo spacco per il pranzo, per il caffé di prammatica e per andare in bagno. “Una volta pressati, tutti gli intervistati hanno dichiarato che non avevano abbastanza da fare”, hanno scritto alla fine i ricercatori nel loro rapporto. Nella media sono anche comprese professioni come il carpentiere e il sommozzatore, lavoratori che un computer a portata di mano non ce l’hanno così spesso.

Il costo di queste abitudini secondo 24/7, un blog al quale collaborano anche giornali come il Wall Street Journal, supererebbe l’astronomica cifra di 800 miliardi di dollari l’anno. Non sorprende quindi che, come riporta il blog, il 54 per cento delle aziende americane abbiano deciso di bloccare l’accesso ai siti del social networking. E adesso non sono solo le aziende a bloccarli, anche svariati dipartimenti di istituzioni accademiche di grande prestigio come Yale, Harvard e Stanford hanno cominciato a stabilire social networking free-zone, aree nelle quali se non esplicitamente proibito, l’uso dei social network è attivamente scoraggiato.

[fonte: Repubblica.it]

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