Caso piede cancrenoso: è giusto imporre la cura?



La questione aperta dal caso clinico della sessantaduenne che si rifiuta di farsi amputare il piede in cancrena, andando incontro a complicanze serie e forse alla morte, ha allarmato l’opinione pubblica.
E’ giusto o no obbligare un paziente alla cura? Secondo la Costituzione no, tranne casi limitati di pericolo di epidemie e per i soggetti in infermità giudiziale, o per i minori.
E il discorso terminerebbe qui per lo spettatore medio di ER, dove la realtà rappresentata, a colpi di intubazioni e stimolazioni cardiache al limite del teatral-esibizionistico (carica a 300…libera!!!) è quella americana, dove la libertà di cura è completamente basato sulla scelta individuale del paziente.
Lì lo Stato ragiona come un’azienda, e il trattamento sanitario è regolato da assicurazioni. Vietato ogni spreco, figuriamoci se oltreoceano sprecano soldi per un intervento che nemmeno il paziente vuole. Piuttosto è il contrario: Se non hai i soldi per permetterti un’assicurazione e dunque un’operazione costosa, sei lasciato in balia di te stesso.
Ma torniamo in Italia, per fortuna. Qui non ci sono assicurazioni obbligatorie (per fortuna, sennò sai che salassi, soprattutto nella truffaldina Napoli), il malato può curarsi assistito in parte dalla mutua, ma la libertà di scelta rimane la stessa.
Ma una volta scelto di curarsi, il paziente entra in una spira da cui non può sollevarsi: non può chiedere, se terminale, di far staccare la spina al respiratore che lo tiene in vita, prolungando chissà di quanto un’esistenza vegetativa.
Ma qui entriamo in un altro argomento, altrettanto spinoso: l’eutanasia, il diritto a poter porre fine alla propria vita, quando ormai di vita non si può più parlare.
Che contraddizione.

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