Gli effetti dell’alcool sull’organismo – ricerca medico legale del 1980
Pubblico una parte di uno studio di medicina legale e alcolismo del 1980, "ISTOCHIMICA DEL COMPORTAMENTO DEGLI ENZIMI RESPIRATORI ENCEFALICI IN SOGGETTI CON INTOSSICAZIONE ACUTA E CRONICA DA ALCOOL", tratto dal sito web kiriosomega.wordpress.com.
Meccanismo d’azione dell’alcol etilico
La possibile lesività di un qualsiasi agente chimico, introdotto in un organismo ospite, ed anche dell’alcol alimentare o etilico CH3-CH2OH, è quella di svolgere un’azione metabolica dinamica. L’effetto suscitato nell’organismo vivente dipende dalla risposta di tre variabili: 1) il modo in cui il prodotto svolge la sua azione; 2) la sensibilità dei tessuti che possono essere interessati; 3) il modo in cui la sostanza è assorbita ed escreta.
L’azione svolta dall’alcol etilico avviene per via sistemica e, non è necessario dilungarci più oltre per indicare che le manifestazioni consecutive sono proporzionali alla concentrazione del prodotto nell’organismo. Possiamo solo aggiungere che le manifestazioni, della sua azione, si evidenziano dopo che è stato superato il livello soglia della tolleranza.
La sensibilità di risposta dei tessuti interessati dall’azione farmacodinamica, di una qualsiasi sostanza, è simile nella specie, ma differente, entro un certo range, tra i soggetti di quella specie.
Ecco allora emergere da parte del Legislatore, la necessità di promulgare una legge che tuteli la salute pubblica, tenendo conto della media dei risultati acclarati dal laboratorio e ponendo l’indice di pericolosità della sostanza, in questo caso l’alcol etilico, al maggiore livello di sicurezza.
Molti suscitano opposizioni sulla classificazione dell’alcol alimentare tra le sostanze venefiche, ma, come già abbiamo implicitamente riferito, ogni sostanza possiede limiti d’azione che possiamo definire compresi tra l’esaltazione adiuvante di una funzione e la dose minima letale. Per questo concetto l’alcol diviene un agente compreso tra le sostanze definite “veleni”.
Certo è che tutti siamo d’accordo nel definire l’alcol come una sostanza capace di deprimere il Sistema Nervoso Centrale, e di creare, per l’alterata ideazione con intorpidimento dei riflessi, anche incidenti automobilistici. Inoltre, se assunto in eccesso, può anche essere letale.
L’abuso di questa sostanza, e l’incidenza di mortalità che crea, è più manifesto nelle società tecnologicamente avanzate, dove è ubiquitariamente diffuso tra i diversi strati sociali, in questo periodo con prevalenza tra il pubblico maschile. L’effetto dell’assunzione, che si rende evidente con tre sindromi cliniche, mostra ubriachezza, etilismo acuto e cronico.
Tralasciamo l’alcolismo cronico che esula dalla nostra trattazione, perché pone in discussione molti complessi problemi che spaziano dalla malnutrizione alla deficienza del sistema immunitario.
Gli effetti dell’intossicazione acuta negli stati d’ubriachezza e nella sindrome acuta sono relativi alla concentrazione dell’alcolimetria ematica, per questo è importante conoscerne la dinamica metabolica.
All’ingestione di una certa quantità d’alcol, fa seguito, entro un’ora, l’assorbimento del 90% della quantità assunta da parte della mucosa gastrica e dell’intestino tenue. Circa il 95% dell’assunto è metabolizzato dal fegato e trasformato in acetato, mentre il 5% circa è eliminato con la perspiratio insensibilis. L’acetato, per il suo catabolismo, entra a far parte del ciclo degli acidi tricarbossilici ed è trasformato in grasso e carboidrati, mentre la maggior quantità è degradata in H2O e CO2.[2]
Le trasformazioni sistemiche prodotte dall’alcol sono connesse con le percentuali ematiche raggiunte che, a loro volta, derivano dalla dose di sostanza ingerita e dalla celerità della sua metabolizzazione. Questa celerità di trasformazione è assoggettata a distinti fenomeni; per esempio dall’esistenza d’alimenti nel lume gastrointestinale, o dalla volumetria del corpo e probabilmente anche da una certa maggiore tolleranza acquisita nei consumatori abituali. In genere possiamo affermare che alcolimetrie ematiche di mg 100/100ml di sangue sono intossicanti mentre dosi di mg 500/100ml sono letali per un gran numero d’individui.
E’ necessario riflettere sul fatto che già gr 113,5 d’alcol, assunto a stomaco vuoto ed in breve tempo, realizzano un’alcolemia di mg 100/100 ml, mentre la velocità media di metabolizzazione è di mg 15/100ml/ora.
Sulla considerazione della sospetta maggiore resistenza all’azione dell’alcol, da parte dei consumatori abituali, si è però messo in risalto che pur essa esistendo è minima e sempre nei confronti d’assunzione di piccole dosi.
Nell’azione depressiva del S. N. C. gli effetti si manifestano, inizialmente sulla corteccia cerebrale e, in seguito, anche i centri nervosi inferiori sono progressivamente interessati. L’azione principale di depressione centrale avviene con un effetto deprimente dei centri inibitori, sì che molti descrivono l’influenza dell’alcol come favorente l’attività ideativa.
In conclusione possiamo affermare che le condizioni dell’intossicazione acuta, come poi meglio diremo, creano un edema cerebrale con congestione dei vasi meningei e corticali superficiali, ma secondo Wright questi fenomeni sono sporadici ed aspecifici.
Una maggiore assunzione d’alcol etilico è capace di deprimere gravemente i centri apneustico e pneumotassico siti nel midollo allungato, facendone conseguire l’arresto respiratorio con morte per asfissia.
A valle del problema anatomopatologico esiste tutta quella sequela d’avvenimenti, di pertinenza psichiatrica, psicologica e medico legale, che possono avvenire creando il reato per le deviate caratteristiche psicologiche e psicopatologiche, ancora, purtroppo definito solo colposo. Torniamo però a ripetere che tali circostanze, quando per concause ed occasioni, realizzano l’omicidio colposo, anche del traffico, devono essere perseguite con rigore perché mostrano il lato asociale dell’individuo che pur albergando in ognuno di noi, ha necessità, per esplodere, di stimoli opportuni. Per esempio, l’alcol possiede la capacità di reprimere i freni inibitori.
La stessa identica logica deve essere applicata nei confronti di colui che si trova in stato d’ebbrezza stuporosa da stupefacenti o da psicofarmaci, assunti, questi ultimi, con particolari modalità, al solo scopo di creare un proprio piacere.
Aspetti medico-legali
Le alterazioni anatomopatologiche evidenziabili nel cadavere connaturate con lo stato d’alcoolismo, purtroppo incostanti, variano, come già detto, da un semplice edema cellulare sino ad imponenti fenomeni degenerativi, delle stesse cellule, che sono propri dei gravi casi cronici.
Secondo il pensiero d’alcuni Autori, si deve valutare con attenzione l’ipotesi che l’eventuale regressione dei fenomeni clinici reversibili delle cellule nervose centrali, nei gravi stati d’alcolismo cronicizzato, sia da porre in relazione con turbe funzionali dopo avere praticata un’adeguata terapia disintossicante.
Tantissime, sono le tesi proposte che si sono succedute, per l’interpretazione dell’esatto meccanismo che sottende all’intossicazione alcolica.
Gli studi sempre più imponenti dell’istochimica, anche in questo settore di ricerca, portati a termine per la chiarificazione d’alcuni aspetti fisiopatologici, sono divenuti d’impiego comune anche per fini medico-legali.
Quest’asserzione è la motivazione tecnica inducente lo studio intrapreso, al fine di poter comprendere il comportamento degli enzimi ossiriduttivi encefalici in corso d’intossicazione acuta e cronica da alcool etilico.
Sono state eseguite ricerche su quindici conigli del peso medio di gr 2500; di questi, sei furono sottoposti a trattamento intensivo per realizzare un’intossicazione acuta da alcool alimentare. Una successiva serie di sei animali fu invece sottoposta a somministrazione capace originare etilismo cronico, mentre i restanti tre furono utilizzati come controlli.
La somministrazione d’alcool etilico a 60°, nella serie d’animali in cui doveva essere realizzato lo stadio d’ebbrezza acuta, avveniva attraverso un sondino naso gastrico utilizzato come via per l’assunzione, da parte dell’animale, di ml 15 in tre dosi assunte nel tempo di trenta minuti.
Gli animali che dovevano sviluppare la forma d’etilismo cronico, assunsero invece ml 7 per due volte al dì per gg 60 continuati.
Il tasso alcolemico dei conigli in fase acuta, rilevato attraverso il test di Widmark, presentò, dopo quarantacinque minuti dall’assunzione, valori compresi fra gr 2,5 e 3 per mille.
Durante l’ebbrezza alcolica acuta, l’animale manifestava evidenti turbe dell’equilibrio con atassia e dismetria poste in evidenza dalla disarmonica incoordinazione degli arti. Apparvero, dopo breve tempo, anche astasia e sfinteri incontinenti.
Dopo sessanta minuti dall’insorgenza della sintomatologia si sacrificarono gli animali mediante l’uso d’arma bianca, colpendone il cuore, questo per evitare di che si creassero, nei centri nervosi, lesioni addebitabili ad altri tipi di morte.
Negli animali con intossicazione cronica, regolarmente si manifestavano, durante il periodo di riposo, comportamenti d’ipereccitabilità seguiti da inappetenza, tremori diffusi e caduta del pelo. Anche questi animali furono sacrificati con la tecnica descritta, tre in corso di trattamento ed i rimanenti nei periodi d’intervallo.
I tre conigli utilizzati per controllo furono in seguito sacrificati in maniera analoga.
Tutti gli animali, dopo la morte, furono lasciati a temperatura ambiente per circa otto ore e poi posti in frigorifero per dodici ore.
Alla fine del trattamento, scalottato l’animale, si prelevava l’encefalo in toto e su di esso si applicavano tecniche istochimiche per rilevarne la citocromossidasi e la succinodeidrogenasi.
E’ noto che la citocromossidasi è una porfirina contenente ferro, che forma con i citocromi un unico complesso funzionale, essa ha il potere di andare incontro ad autossidazione utilizzando l’O2 cellulare.
Al contrario i citocromi accettori di H, sono privi di questa proprietà e sono bloccati in tale funzione, che può però continuare a svolgersi per opera delle citocromossidasi che permettono perciò il regolare susseguirsi dei fenomeni respiratori. Herlich fu il primo ricercatore, ad interessarsi di studi istochimici in proposito delle citocromossidasi, utilizzando il Naftolo e la N-N-dimetil-p-fenilendiamina così ottenendo la sintesi d’indofenolo blu a causa delle citocromossidasi.
Screening successivi sono quelle di Glick, Gomori e Nachlas, ma i risultati più efficaci furono ottenuti da Burstone che, nel 1959 utilizzò la N-fenil-p-fenilendiamina a basso potere autossidativo e l’acido l-idrosso-2-naftoico, ai quali seguiva una post fissazione e l’esposizione all’azione di un metallo.
In proposito di succinodeidrogenasi, enzima del gruppo delle dismutasi e catalizzatrice dell’ossidazione dell’acido succinico ad acido fumarico, così partecipando al ciclo di Krebs, i primi studi d’istochimica furono condotti da Kuhn e Jerchel. Questi Autori sfruttarono la proprietà dell’enzima di ridurre i sali di tetrazolio in formazani, complessi colorati e non miscibili in H2O. Nachlas, in seguito, per ovviare allo svantaggio della liposolubilità e cristallizzazione dei sali di tetrazolio comunemente impiegati, adoperò il “nitro BT o sale di tetrazolio paranitrofenilsostituito” in modo da conseguire un dinitroformazano mancante delle già dette proprietà pregiudizievoli.
Nella nostra sperimentazione abbiamo adottato la metodica secondo Burstone per le citocromossidasi e quella di Nachlas per la succinodeidrogenasi, proponendo il seguente schema:
METODICA DI STUDIO
Citocromossidasi
1) Realizzazione di fettine di tessuto dello spessore di micron 15 ottenute con microtomo congelatore-
2) Le fettine, adese ai vetrini ed asciugate all’aria, erano incubate a 37° C per due ore in soluzione, agita e filtrata, d’acido l-idrossi-2-naftoico mg 10; N-fenil-p-fenilendiamina in 0,5 d’etanolo mg 10; acqua distillata mg 35; tampone “Tris” 0,2 M a pH 7,2 mg 15 –
3) Immersione in acetato di cobalto al 10% in formalina neutra al 10% per un’ora –
4) Rapido lavaggio in acqua distillata –
5) Montaggio in gelatina glicerinata –
Le zone ad attività citocromossidasica apparivano di colore bruno scuro.
Succinodeidrogenasi-
1) Realizzazione di fettine non fissate di spessore di micron 15 ottenute con microtomo congelatore –
2) Le fettine, adese ai vetrini ed asciugate all’aria, erano incubate a 37° C per un’ora in soluzione, agitata e filtrata di succinato di Na 0,2 M ml5, tampone fosfato 0,2 M a pH 7,6 ml 5, soluzione acquosa di Nitro BT- mg 1/ml- ml 10 –
3) Fissazione in formalina neutra al 10% per m 5’ –
4) Rapido lavaggio in acqua distillata –
5) Montaggio in gelatina glicerinata –
Le zone ad attività enzimatica apparivano di colore blu.
RISULTATI
L’attività enzimatica, negli animali usati come controllo, si presentava diffusa e di modesta entità a carico dei vari strati di corteccia cerebrale e cerebellare, dei nuclei della base e delle formazioni bulbo-mesencefaliche. Le modalità di reazione, inoltre, non presentavano sensibili differenze per i due enzimi considerati e, nessuna reazione fu posta in evidenza a carico della sostanza bianca.
La succinodeidrogenasi, nell’intossicazione acuta, non subisce variazioni degne di nota a livello della corteccia cerebrale, del mesencefalo, dei nuclei della base e del bulbo.
Un accrescimento notevole, dell’attività enzimatica, si presentava permanentemente presente a carico della corteccia cerebellare e, precisamente, a livello delle cellule del Purkinje e dello strato molecolare, meno intensa era invece la reazione dello strato granulare.
La citocromossidasi si mostrava, topograficamente, con le stesse caratteristiche della succinodeidrogenasi e metteva inoltre meglio in evidenza l’arborizzazione condritica delle cellule del Purkinje.
Il quadro dei due enzimi, nell’intossicazione cronica, si presentava con eguali caratteristiche per quanto riguardava la corteccia cerebrale, i nuclei della base e le formazioni bulbo-mesencefaliche, sia negli animali sacrificati durante il trattamento, sia in quelli uccisi nel periodo intermedio del trattamento.
Un aumento dei due enzimi, ancora maggiore rispetto a quello osservato negli animali sottoposti ad intossicazione acuta, si notava a carico della corteccia cerebellare.
CONCLUSIONI
Abbiamo già affermato che sono molteplici le teorie che tentano di spiegare il reale meccanismo d’azione svolto dall’alcol a livello encefalico.
Fuhrman e Field, in vitro, riscontrarono che l’alcol, fino a concentrazione del 2%, provocava un aumento del consumo d’O2, mentre in concentrazioni superiori ne determina una diminuzione.
Goldfarb e Battey riscontrarono, separatamente, una diminuzione del consumo d’ossigeno cerebrale in corso d’intossicazione da alcol.
Beer e Quastel hanno studiato l’effetto dell’alcol sulla respirazione mitocondriale di cervelli isolati.
Truitt-Bell e Krantz ne hanno posto in rilievo gli effetti sulla fosforilazione ossidativa.
Sembra però che nessuno di questi AA abbia dimostrato un’azione dell’alcol sulle fondamentali reazioni mitocondriali. In tal modo non si potrebbe spiegare la riduzione del consumo d’O2 in conformità ad un semplice impedimento della respirazione mitocondriale.
Secondo l’ipotesi proposta da Jarnefelt, l’alcol sarebbe capace d’inibire il trasporto di Na attivo verso la membrana delle cellule nervose e, quest’Autore ritiene anche che gli effetti dell’alcol, sulle cellule nervose, siano da attribuire all’inibizione dell’adenosintrifosfatasi sodio stimolante dei microsomi cerebrali.
Dagli studi riportati, emerge dunque che l’orientamento comune è verso il ritenere che esista, indotta dall’alcol, una diminuzione del consumo d’ossigeno a livello cerebrale.
Sotto tale profilo, i risultati delle ricerche qui presentate, sembrerebbero contrastare con le vedute prima riferite. Noi abbiamo rilevato, a livello cerebellare, un’intensa attività dei due enzimi che si accumulavano nel corso dell’intossicazione cronica e che quindi dovrebbe dimostrare un aumentato dinamismo respiratorio cellulare.
Bisogna però ricordare, che l’incremento di un enzima, impegnato in una via metabolica, non ha per conseguenza, necessariamente, un aumento dell’attività stessa. Sono stati riportati, infatti, degli esempi d’aumento di un singolo enzima con contemporanea riduzione dell’attività del relativo ciclo enzimatico come ha reso evidente Ricceri.
Nel nostro caso è quindi da supporre che l’aumento delle attività enzimatiche, dimostrate istochimicamente, non sia attribuibile ad incremento dei processi ossidativi, bensì ad un semplice fenomeno di accumulo. Il blocco di una via metabolica ad un dato livello è stato dimostrato che comporta accumulo di sostanze, che per un effetto feed back, determinano incremento enzimatico a monte del blocco.
Il mancato riscontro, come già detto, di alterazioni dei mitocondri confermerebbe questi dati, perché l’alcol non agendo su di essi permetterebbe la regolare produzione degli enzimi che non verrebbero poi utilizzati.
Oltre a ciò, secondo quanto prospettato da Bailey –1946- in conseguenza di un deficit di tiamina, causato dall’alcol, si riscontrerebbe una diminuzione dell’apporto d’O2 nei tessuti. Tale deficit agirebbe a livello degli idrati di carbonio e sull’ossidazione dell’acido piruvico. L’arresto del metabolismo dell’acido piruvico, allora, ben si accorderebbe con l’ipotesi da noi prospettata d’accumulo enzimatico a monte, nel caso specifico della succinodeidrogenasi.
L’anossia prolungata ed il depositarsi di metaboliti tossici che s’instaurano in corso d’intossicazione cronica, dove noi abbiamo notato un successivo accumulo enzimatico, sarebbero causa di sofferenza cellulare. Essa sarebbe dimostrata anche dalla diminuzione in attività fosfatasica alcalina e acida, messo in evidenza da Kemali e Scarlato nelle cellule della corteccia cerebellare ed in particolare in quelle del Purkinje.
Tali cause porterebbero alla degenerazione delle cellule nervose.
L’avere riscontrato il danno funzionale, essenzialmente a livello cerebellare, giustifica i dati sintomatologici che sono tipici di tale distretto encefalico, nel corso d’intossicazione alcolica.
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