Dall’Inferno si ritorna, il saggio di Christiana Ruggeri sul genocidio in Ruanda



Uno dei peggiori massacri del nostro tempo, raccontato da Christiana Ruggeri, giornalista del Tg2, che ha voluto raccontare la storia di Bibi, al tempo poco più di una bambina, che a causa di una guerra assurda ha perso la sua famiglia in uno dei massacri dei gruppi armati, i quali all’epoca erano all’ordine del giorno.

 

dall inferno si ritorna copertina libroBibi poteva essere una bambina normale, una che ha vissuto la sua infanzia durante gli anni 90 come tante altre. Aveva genitori che la adoravano, una famiglia numerosa, composta da zii, cugini, fratellino, oltre che dai genitori e i nonni,  con la spensieratezza propria dei suoi 5 anni. Purtroppo, Bibi è ruandese, e si è trovata suo malgrado in mezzo a una faida atroce, fratricida, con massacri e violenze all’ordine del giorno.

Nel 1994 in Ruanda ci fu il più grande genocidio di questo secolo, e purtroppo Bibi ne ha fatto parte. La bambina è sopravvissuta al massacro di tutta la sua famiglia, e una giornalista del Tg2, Christina Ruggeri, ha voluto raccontare come, da un fatto così atroce, è riuscita comunque ad avere il suo lieto fine. Dall’inferno si ritorna è un saggio che, con la storia della bambina (il cui nome è uno pseudonimo inventato, in modo da farle vivere una tanto agognata vita normale), coglie l’occasione di soffermarsi sul Ruanda e sulle origini di queste ingiustificate violenze.

 


Prima di tutto, bisogna cercare di entrare nella logica sociale del Ruanda. Il territorio aveva una marcata differenziazione sociale, fatta di piccoli proprietari terrieri, molto in vista, e i braccianti e i contadini. Essi potevano effettuare la scalata sociale senza problemi, dimostrando di avere ingegno e soprattutto passione. I guai iniziarono con la colonizzazione europea: se socialmente, il Ruanda applicava una tolleranza elastica, i coloni erano molto rigidi su questo punto. Ecco come sono nati gli Hutu e i Tutsi, con il favoritismo applicato dai coloni in base al prestigio sociale ed economico, ma anche in base al colore della pelle e ai tratti somatici. I Tutsi erano simili agli Europei, quindi era stata data loro l’opportunità di occuparsi del potere statale, mentre gli Hutu furono classificati come poveri. Nacquero coì i gruppi armati degli Hutu, i quali iniziarono a fare rappresaglie contro chi deteneva il potere, ma anche per un sentimento di annientare e sterminare l’avversario che con l’inganno aveva tolto a loro ciò che spettava di diritto.


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Ovviamente, dopo numerosi attentati, Tutsi e Hutu si combattevano anche per vendicare la ormai lunga lista delle stragi. Insomma, da conviventi pacifici a nemici giurati. E Bibi, Tutsi, si è trovata coinvolta. Una sera come tante, la mamma le ha dato la buonanotte, ma sarebbe stata ‘ultima volta: spari, urla, sangue, violenza, pugni, calci e silenzio. Bibi riapre gli occhi, dolorante. Si sente il braccio destro dilaniato, il capo e il corpo grondante di sangue a causa dei fori di proiettile e i calci subiti, e soprattutto, le rimangono impresse ancora oggi due cose: la voglia di bere un succo di ananas e l’odore acre, pungente del sangue.

Il racconto è a tratti forte, considerato che chi narra sarebbe la stessa bambina, ma serve per far capire le peripezie di una ragazzina che, come un milione e duecento profughi, fuggì dall’inferno per poter raggiungere lo Zaire e come, oggi, si sia stabilita in Italia e sia diventata uan studentessa di medicina. Le critiche sono ottime, e le parole di Fabio Geda dicono tutto: si tratta di un viaggio nell’Apocalisse, ma dove si è tenuti per mano da una dolce creatura, ossia una innocente bambina.

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